Istruzioni per l’uso

Lo scorso Novembre, durante la visita di Donald Trump in Cina, e’ accaduto un fatto curioso che poteva diventare pericoloso.
Mentre The Donald e consorte sono attesi nella Grande Sala del Popolo su piazza Tienanmen, dietro le quinte accade qualcosa di imprevisto: l’ufficiale americano con in mano il nuclear football, cioe’ la valigetta contenente i codici per un lancio di missili nucleari, e’ stato fermato dai cinesi a un tornello di metal detector.
Trump non si accorge di quanto sta succedendo nelle retrovie e tira dritto, ma c’e’ un problema: quella valigetta deve essere sempre a disposizione del Presidente degli Stati Uniti d’America, ovunque egli si trova.
Insomma, stava per accadere un incidente diplomatico.
Per fortuna interviene il generale Kelly, capo di Gabinetto della Casa Bianca, il quale preso di coraggio si ispira al football nazionale e improvvisa un’offensiva collettiva: tutti insieme varcheranno quei cancelli, in un unico blocco, valigetta compresa.
Ci sono un po’ di spintoni, qualche placcaggio, ma alla fine il gioco di squadra ha la meglio e il Presidente torna in possesso del suo prezioso bagaglio a mano.
Detto che sarebbe auspicabile un protocollo piu’ efficace in queste occasioni, vi immaginate cosa sarebbe successo se un cinese si fosse appropriato dei codici nucleari americani?
Magari avrebbe iniziato a smontare la valigetta pezzo per pezzo per capirne il meccanismo e avviarne una produzione in serie; oppure avrebbe sostituito i pezzi originali con qualche ricambio rigorosamente made in China; o ancora avrebbe forse stampato un manuale di istruzioni (in cinese certo) in modo tale da far desistere chiunque dal suo utilizzo.
Probabilmente non avrebbe premuto alcun bottone pero’: quella e’ roba di Donald e Kim.
I cinesi infatti non sono interessati a un singolo pulsante, preferiscono le tastiere. Perche’ in fondo, se bisogna scegliere qualcuno da far saltare, e’ sempre meglio che siano tasti, e non teste.

I superpoteri normali

Chi e’ un eroe?
Il dizionario direbbe <<chi si impone all’ammirazione di tutti per eccezionali virtu’ di coraggio o abnegazione>>, un bambino probabilmente risponderebbe indicando Hercules, la societa’ degli adulti invece lo identifica in un soggetto comune.
Lorenzo Pianazza e’ un ragazzo di Milano, 18 anni, che stava tornando a casa da scuola; scende le scale della fermata Repubblica della metropolitana e aspetta il treno. Solo che nel frattempo un piccolo bimbo di due anni e mezzo scappa dalla madre e si getta sui binari. Si crea un po’ di confusione, la gente si sporge per vedere cosa succede, ma nessuno interviene.
Lorenzo guarda il cartellone, “manca ancora un minuto e mezzo al prossimo treno” si dice, cosi’ scende anche lui, recupera il bambino e poi risale su.
Tutti lo acclamano, specialmente sui social, come un eroe.
Riflettendoci un po’ pero’, chi si e’ comportato in modo straordinario? Lorenzo (al quale, per inteso, va tutto il ringraziamento di ognuno di noi) o gli altri? Il suo gesto infatti e’ piuttosto normale, chiunque si precipiterebbe ad aiutare un bambino in difficolta’. Ma invece, come detto, non e’ cosi’.
Alcuni presenti si sono affacciati sui binari, magari spaventati, ma non ha fatto nulla. Non hanno avuto la stessa prontezza del giovane eroe, hanno osservato senza agire. E questo rispecchia la nostra societa’, dove tutti guardano, parlano, osservano ma non fanno nulla.
Lorenzo invece non solo ha salvato il bambino, ma si e’ preoccupato anche di recuperare la trombetta di plastica che il piccolo teneva in mano, in modo tale da riportarlo alla normalita’, come se non fosse accaduto nulla.
Capito dove sta la straordinarieta’?
Dichiarera’ poi al Corriere: “Ho fatto quello che mi sembrava giusto fare, sono sorpreso, non mi aspettavo tutto ‘sto scalpore, pensavo che non si venisse manco a sapere. Quando sono arrivato a casa non ho detto nulla, perche’ non era una cosa di cui volevo vantarmi.
Non siamo piu’ abituati a vedere persone normali, e quindi le confondiamo con gli eroi. La differenza pero’ sta proprio li’: molti si affannano alla ricerca di un’etichetta, si vantano sui social per cose di poco conto ricevendo l’approvazione dei loro simili e magari, in una situazione del genere, invece di sbracciarsi avrebbero abbracciato l’iPhone per riprendere la scena.
Il “Lorenzo” di turno invece agisce e basta, senza pensare ad altro. “Hai avuto paura?” gli hanno chiesto, e lui “No”.
Se lo consideriamo un eroe, iniziamo anche ad imitarlo allora.

Quanto pesano le parole?

Durante un’intervista nella trasmissione Che tempo che fa, in onda la domenica sera su Rai 1, il deputato del Movimento 5 Stelle, Alessandro Di Battista, ha dichiarato <<Se dico ‘cazzo Berlusconi pagò Cosa Nostra’ lo scandalo e’ la parolaccia>>.
Al di la’ di ogni commento politico, l’on. Di Battista ha ragione nell’affermare che in Italia molto spesso si tende a vestirsi di una ipocrisia sulle forme che scavalca e offusca l’importanza del contenuto.
Si da’ molto piu’ peso a come le cose vengono dette e non al messaggio che esse trasportano, finendo col ribaltare l’ordine gerarchico del mondo semantico assegnando una graduatoria (del tutto personale) al significante e al significato, con un predominio della forma sul messaggio.
A essere onesti, un concetto espresso bene risulta essere anche piu’ efficace, ma questo non vuol dire che un concetto espresso male non meriti attenzione. Scomodando e attualizzando il noto linguista Ferdinand De Saussure, la parole e’ diventata quindi un artificio creativo immeritevole di fiducia se non rientra nei formalismi della langue.
Quando un politico, di qualsiasi partito o movimento, esprime la sua proposta in tono affabile e senza parolacce, siamo naturalmente portati a dargli fiducia perche’ pensiamo che i suoi modi corrispondano alle sue intenzioni. Molto spesso pero’ quella e’ soltanto una maschera dietro cui nascondersi per celare la vacuita’ dei contenuti.
Cio’ che e’ peggio e’ che tutto cio’ si traduce anche nella vita sociale: un piccolo commerciante senza studi diventa meno credibile di un esperto tecnico che usa paroloni accademici (dei quali si spera almeno lui conosca il senso). Solo che, mentre l’umile in genere e’ onesto (se non altro per solidarieta’), si da’ piu’ credito a quello che impiatta meglio le parole, rimanendo fregati da un souffle’ di tagliatelle in crosta (che???) invece di una prosaica carbonara.
Le stelle (Michelin o in politica) funzionano solo se brillano di realta’, e non di fama. Altrimenti si rischia di farla, la fame, invece che constratarla.
Diffidate delle apparenze. Ma anche delle pietanze. Specialmente di quelle che fanno solo pieta’.

Alta Mediocrita’

L’efficienza cinese e’ nota per ottenere il miglior rapporto costo-risultato.
Tuttavia, gli inventori del Made in, sono riusciti a dare prova di grande produttivita’ anche nella velocita’ di realizzazione di opere che non siano imitazione di qualcos’altro.
Nella provincia del Fujian, nel sud della Cina, 1.500 lavoratori hanno realizzato una linea ferroviaria in sole 9 ore.
Il segreto sta nell’organizzazione: gli uomini sono stati schierati in sette unita’ per affrontare compiti diversi contemporaneamente.
Mentre da noi ci si vanta dell’Alta Velocita’ sui binari (spesso accompagnata da ingenti ritardi, per bilanciare), in Cina possono vantarsi dell’Alta Velocita’ Manuale per costruire i binari.
Non e’ poco: se pensiamo a quanti minuti si accumulano perche’ i treni devono aspettarsi vicendevolmente, nella staffetta del chi arriva prima ritarda gli altri, puo’ dare l’idea di come rendere una ferrovia un posto piu’ efficiente.
Pensate a quante cose si possono realizzare in 9 ore: una tratta aerea RomaAbu Dhabi, 2 puntate di Barbara D’Urso e adesso anche una linea ferroviaria.
In Italia, forse, 9 ore servono solo per ottenere il certificato di rilascio di inizio attivita’. Con una data approssimativa, molto approssimativa, sulla data di fine attivita’. Che cosa scrivono a farla poi, se quasi mai viene rispettata.
Cos’e’, una gara a chi sfora di piu’? O un’etichetta tipo la scadenza nei cetrioli? Preferibilmente, ma tanto non se lo fila nessuno.
Per una volta potremmo essere noi a imitare i Cinesi, mettendo da parte la burocrazia e schierando i nostri talenti migliori.
Perche’ ne abbiamo tanti, ma spesso ce ne ricordiamo al momento sbagliato: troppo tardi.

L’insegna di-pendente

A Canicattì, provincia di Agrigento, i genitori di un ragazzo appena diplomato sono ricorsi al Tar perche’ il figlio aveva ottenuto la licenza media con la valutazione di 9/10 invece che 10/10.
Ottimo invece di Eccellente.
E’ chiaro che le aspirazioni di un genitore siano quelle di ottenere il meglio per il proprio figlio, ma la differenza sta tutta in quella preposizione: si desidera il meglio per lui, ma non da lui.
E cosi’ se il meglio non gli viene riconosciuto, allora lo si pretende da altri, andando a sindacare le scelte legittime di un’istituzione come quella scolastica che, piu’ che giudicare, ha nell’insegnare la sua funzione principale.
Contenuti, relazioni, prospettive, e non solo nozioni teoriche, in modo tale da educare il giovane ragazzo a prendere le giuste misure della vita che affrontera’ ogni giorno. Magari da solo, senza il sussidio genitoriale che continua a pretendere il meglio per lui.
Esistono due scuole (di pensiero): l’una afferma che la perfezione non esiste; l’altra che la perfezione consiste nel tendere continuamente ad essa, per non rimanerne insoddisfatti/appagati.
In entrambi i casi, risulta piu’ produttivo un 9 di un 10: invita alla riflessione, a fare sempre meglio, a dare un ulteriore significato a quanto gia’ sembra in nostro possesso.
Viviamo applicando costantemente i principi della teoria dell’etichettamento, per cui conta piu’ quello che viene certificato rispetto a quello che si possiede materialmente, sotto forma di proprieta’ e conoscenze: banalmente, si potrebbe anche essere soddisfatti di un voto minimo nella consapevolezza di essersi appropriati dell’argomento.
Il senso della misura sta a monte: se ci insegnano che l’obiettivo e’ sempre un nuovo traguardo, ci cureremo molto meno del giudizio altrui (da intendersi voto, commento sul look o sui propri gusti) e molto piu’ di chi vogliamo essere.
Adulti, iniziate a non promettere ai vostri figli biciclette, telefoni e altri cadeau d-istruttivi in cambio di buoni voti.
In fondo, questi non sono incentivi a studiare. Sono distrazioni alla guida della maturita’.

Schermati dalla nascita

Ed Sheeran ha dichiarato di essere tornato ai vecchi tempi.
“Ho rinunciato allo smartphone e ne sono molto felice. Ho ancora un Nokia 3210, uno di quelli vecchi, senza display. Nessuno sa il mio numero, mi serve solo in caso di emergenza se devo chiamare qualcuno, tipo se sono bloccato nel traffico o mi è successo qualcosa. Davvero, non sono mai stato meglio in vita mia. Mi fa bene essere tagliato fuori da tutto”.
Detto da uno che ha 18 milioni di follower su Facebook e 19 milioni su Instagram suona strano.
Ma specialmente e’ strano sentirlo dire ad un ragazzo di 26 anni, immerso in un mondo che viaggia al confine fra palco e schermo, fra emozione e vibrazione (da notifica): Jack White, l’ex leader dei White Stripes (quelli del po-po-po mondiale) ha bandito l’uso dei cellulari durante il suo concerto, che dovranno essere consegnati e imbustati in una borsetta come quella antitaccheggio ai supermercati. Questo perche’ non cantava piu’ di fronte a migliaia di facce, ma a migliaia di flash puntati su di lui che nemmeno l’FBI durante una cattura notturna.
Oggi si parla addirittura di una nuova malattia: la sindrome del “gomito da selfie” causata dalla posizione che assumiamo per scattarcene a bizzeffe.
Evidentemente, c’e’ qualcosa che non va. Le fotocamere erano nate per immortalare momenti indimenticabili, non per registrare la finta banalita’ del quotidiano.
Siamo tutti, tutti indistintamente dipendenti dal cellulare, come se fosse un prolungamento naturale dei nostri arti superiori e non uno strumento aggiuntivo di supporto: una nuova protesi insomma, ma per fare presa su altri in un mondo virtuale invece che su altri in carne ed ossa in quello reale.
Certo, magari Ed esagera con le rinunce: quando diventera’ padre, ha detto, mettera’ da parte la musica.
Pero’ ve lo ricordate com’era bello usare gli sms? Quelli senza conferme di lettura, senza ultimo accesso, sta scrivendo, immagini allegati o documenti; quelli che erano solo testo, lunghi discorsi tastierati a mano e in genere per qualcuno di importante.
Il cellulare in fondo e’ anche questo, anche adesso che e’ cosparso di qualunque tipo di app. L’importante e’ l’uso che se ne fa, perche’ a essere onesti non se ne puo’ fare a meno.
Basta solo essere i registi e non gli spettatori di quello schermo, interpretando se’ stessi senza diventare mai Perfetti Sconosciuti.

Robotomizzati

Fabio era stato assunto in un supermercato di Edimburgo: doveva occuparsi di accogliere i clienti e rispondere alle loro richieste, ma e’ stato licenziato perche’ “sfortunatamente le sue prestazioni non erano quelle attese”, a detta dei proprietari.
Purtroppo siamo abituati a notizie del genere.
Quello che stupisce, invece, e’ che Fabio non e’ un semplice essere umano, ma un robot.
Avete letto bene? Gia’, proprio un robot.
La sua assunzione faceva parte di un esperimento portato avanti dalla Heriot-Watt University di Edimburgo, che e’ finito col passare alla storia come il primo caso di licenziamento di robot.
Peraltro, Fabio era stato assunto solo per due settimane, quindi e’ stato anche il primo caso di robot precario.
Questa storia permette di sviluppare alcune riflessioni circa la corrispondenza isomorfica tra noi e il mondo dei robotici: per quanto riguarda noi umani, ormai siamo finiti a confinare le emozioni in uno spazio sempre piu’ piccolo da assomigliare alla completa apatia dei nostri amici meccanici, i quali invece si stanno sempre piu’ specializzando nelle materie umane da diventare perfetti supplenti di qualsiasi manodopera in carne e ossa.
Mischiando i due mondi pero’, si corre il rischio di sconfinare, producendo dei cortocircuiti mioelettrici capaci di paralizzare l’attivita’ quotidiana.
In buona sostanza, se noi diventiamo un po’ piu’ di ferro, e i robot un po’ piu’ umani, finiremo con l’anestetizzare qualsiasi esperienza, con lo scambiare un rapporto per un contatto, con l’arruginire qualsiasi liberta’ creativa ed emotiva che non rientri nella nostra programmazione.
A ognuno il suo: non sarebbe un equo compromesso fra innovazione e responsabilita’?
La cosa grave di un robot e’ il fatto che non riesce a scaldarsi per un’emozione, che non prova piacere per cio’ che accade, che non ragiona ma esegue soltanto, che non ha il gusto di leggere o di andare alla ricerca di qualcosa che possa fargli cambiare prospettiva.
Ecco: se osservate le persone attorno a voi, riuscite a notare la somiglianza?
Non trasformiamoci in razzo missile anche noi.

Mi s-natura

Alessia Spagnuolo e’ l’aspirante Miss Italia che durante le selezioni per la gara di bellezza piu’ famosa d’Italia, ha deciso di portare con se’ sua figlia di appena 6 mesi.
La piccola, al sicuro nel marsupio di mamma, ha sfilato insieme a lei, riuscendo a convincere i giudici della bellezza di Alessia, che infatti e’ stata ammmessa alla fase successiva della selezione.
Ma come poteva il popolo social non rivolgere la sua attenzione verso questa storia?
E cosi’ che hanno cominciato a dirle un po’ di tutto: si va dal classico “madre snaturata”, al “ma non hai niente di meglio da fare?”, per finire con “bei valori che insegni a tua figlia”.
Prima di usare le parole pero’, ci sarebbe da pesarle.
Pertanto, se snaturato e’ talmente alterato da andare contro natura, perche’ Alessia lo e’? La natura forse non le ha unite?
Se i valori sono una misura delle doti morali e intellettuali da tramandare, non e’ proprio questo il caso concreto da prendere a esempio?
– La bellezza salvera’ il mondo – diceva Dostoevskij, e probabilmente lui ha un po’ piu’ di credito dei tastieristi frustrati.
Infine, un’ultima considerazione: una mamma non smette di essere donna dopo un parto. E sebbene le sue responsabilita’ e il suo corpo cambino radicalmente, rimane sempre dentro di lei un infinito desiderio a realizzarsi. Come in tutti noi. Perche’ la natura ce lo impone.
Alessia, dopo aver scoperto di essere incinta invece, e’ stata licenziata.
Non e’ che siete voi quindi quelli a non avere nient’altro di meglio da fare che prendervela con chiunque vi capiti?
Lasciatelo in pace, chi e’ ancora capace di sognare.

Sogni in saldo

Una ragazza italiana di 18 anni ha messo all’asta la propria verginita’ su un sito di escort inglese.
Finora, l’offerta piu’alta recapitata e’ pari a 1 milione di euro.
Il motivo della scelta di Nicole (il nome fittizio che si e’ data per mantenere l’anonimato) e’ quello di ottenere la somma necessaria per realizzare il suo sogno, e cioe’ poter studiare all’Universita’ di Cambdrige, oltre ad aiutare economicamente la sua famiglia e comprare una casa ai genitori.
In molti hanno gia’ attaccato la giovane, accusandola di s-vendere il suo corpo e di realizzare una forma di prostituzione velata da nobili scopi.
10 anni fa, anche Raffaella Fico aveva deciso di fare la stessa scelta, per “comprare una casa a Roma e pagare un corso di recitazione”, e anche quella volta si alzo’ un polverone mediatico, specialmente a seguito della sua notorieta’.
A prescindere dalle motivazioni che spingono a prendere questo tipo di decisioni, fatto sta che ci sono ragazzi e ragazze che, pur di raggiungere il proprio obiettivo nella vita, sono disposti a fare qualunque tipo di sacrificio.
E non esiste una scala gerarchica che indichi cosa e’ meglio/peggio fare: perche’ lavorare 16 ore al giorno dovrebbe essere piu’ degno di vendere la propria verginita’? O perche’ dovrebbe esserlo venire pagati al di sotto di ogni soglia ragionevole, dopo aver speso ore dietro un articolo o una consegna?
La storia si puo’ leggere continuamente da piu’ parti. Ma noi scegliamo sempre quella della (finta) morale, come conduzione dei nostri giudizi.
Certo, ci sono valori da preservare, ma spetta a una scelta personale decidere a cosa si e’ capaci di rinunciare. Conseguenze annesse.
Non e’ triste chi ha ambizioni elevate ed e’ disposto a fare sacrifici pur di realizzarle. O comunque non e’ piu’ triste di vedere un sogno infrangersi, o un giovane spento nei desideri.
Invece di scaraventare giudizi, proviamo a rovesciare le condizioni che portano a piegarsi (in tutti i sensi) pur di diventare qualcuno o qualsiasi cosa.
Sarebbe l’offerta migliore da fare ai sognatori. Tutti.

PS: la stessa ragazza ha ammesso, qualche giorno dopo, che si e’ trattato solo di una provocazione, che e’ figlia unica e che non ha alcuna intenzione di intraprendere studi economici. Ora non sa come uscirne. Forse sarebbe stato meglio non entrarci nemmeno.

Chiedo scusa anche io per avere, seppure inconsapevolmente, cavalcato una falsa notizia.

Fuori di tasto

Questa non e’ un’esercitazione.
La frase che avete appena letto e’ un verso della canzone “Mi fido di te” di Jovanotti.
Ma non solo.
E’ anche quello che gli abitanti delle Hawaii hanno letto sui propri smartphone sabato scorso, alle 8 di mattina, come a dire “Buongiorno, alzati che e’ l’ultima volta”.
Il messaggio informava tutti gli abitanti dell’isola a mettersi al riparo, perche’ un missile balistico si stava dirigendo verso l’arcipelago.
Alla fine, si sottolineava l’imminente catastrofe proprio con il sigillo militare del Questa non e’ un’esercitazione, appunto.
38 minuti sono passati dall’invio del messaggio a quando si e’ scoperto che in realta’ nessun missile sarebbe atterrato sulle Hawaii, nonostante si dica da piu’ parti che Kim non veda l’ora di lanciarne uno.
In quegli attimi di panico, la gente ha iniziato a chiamare parenti, amici e chiunque avesse in rubrica per avvertirli e salutarli: alcuni poi si sono nascosti in bagno, altri probabilmente sono dovuti scapparci per urgenze del momento.
Ma qual e’ stata la causa di tutto cio’?
Semplicemente, un addetto della Hawaii Emergency Management Agency (l’agenzia governativa che si occupa di questo tipo di emergenze) ha premuto il bottone sbagliato.
Di due cose siamo certi:
1) nessun bombardamento ha colpito le Hawaii, sebbene alcuni rumori provenienti dalle toilette sembravano indicare il contrario;
2) se mai dovesse succedere sul serio, il messaggino non sara’ preso troppo sul serio come la prima volta.
Io consiglierei di cambiare “questa non e’ un’esercitazione” con “questo non e’ un errore di un cretino addetto ai bottoni”: gia’, perche’ a furia di giocare a chi ce l’ha piu’ grande, magari si finisce a partecipare a un quiz tv.
Potrebbe chiamarsi Schiacciatutto: non si vince niente, ma si perde soltanto.
E sulla pelle degli altri.