Scrivere, sulla carta

Nel 2019, l’Assemblea Regionale Siciliana ha bandito un concorso per assumere 11 consiglieri parlamentari. Alle selezioni per ottenere il posto si sono presentati 250 laureati, con un voto accademico di almeno 105 su 110.
I presupposti per rinfoltire di eccellenze l’amministrazione pubblica del parlamento siciliano c’erano tutti, ma la qualità auspicata in realtà nascondeva una sostanza piuttosto acerba, dietro la forma del diploma.

Ma andiamo con ordine.

I candidati provenivano da un titolo magistrale in Giurisprudenza, Scienze Politiche ed Economia o Statistica, corsi di laurea di alto rispetto nella mentalità classica dei padri fondatori della burocrazia universitaria. Le prove scritte da affrontare consistevano in temi di diritto costituzionale e amministrativo, contabilità e storia, materie pienamente pertinenti con il percorso di studi dei futuri consiglieri.

Ma fra quei 250 candidati, soltanto 1 su 10 ha raggiunto la soglia del 18, e la media dei punteggi di chi è arrivato agli orali è stata di 21 su 30, il minimo richiesto dal bando.

Se le premesse sono queste, certamente non si può immaginare così un salto di qualità dell’Assemblea Siciliana, seppure era proprio questo il motivo del bando: rinforzare le fila con mentalità giovane e persone di esperienza.
E qui sorge il punto più spinoso della questione: com’è possibile che la migliore intellighenzia proveniente dall’università, ragazzi e ragazze da 30 e Lode agli esami e da 110 sulla pergamena, non siano capaci di scrivere un tema dignitoso? Le famose “quattro parole in italiano” si pensava che fossero un problema colmato da tempo, e invece proprio i ragazzi laureati, i neo dottori, ci ricordano che la storia si ripete. Si studia e si ripete, soprattutto quando si boccia agli esami della vita, quelli fuori dall’università.

Se il più alto grado di istruzione dell’ordinamento scolastico italiano non produce i risultati che promette, è tempo che le università si interroghino sulla loro funzione sociale ed economica, perché in fondo piazzare una persona non preparata nei posti per cui più c’è bisogno di conoscenza crea perdite di capitale che si rispecchiano nel livello inadeguato della nostra burocrazia.

Ancor più preoccupante, a mio avviso, è la giustificazione data dal Rettore dell’Università di Palermo in risposta a questi risultati: «Se fossimo alla Sant’Anna di Pisa sono certo che il livello dei temi dei nostri laureati sarebbe elevatissimo, ma la vocazione dell’Università di Palermo è quella dell’accoglienza: aprire le porte e tirare dentro quanti più ragazzi possibile per dare loro un’opportunità. Una politica che inevitabilmente abbassa la qualità». Un po’ come dire che da noi non conta istruirvi, l’importante sono i numeri, e quindi le tasse, gli iscritti e le lodi.

Se di numeri parliamo, allora, occorrerebbe preoccuparsi quantomeno che i voti rispecchino la reale preparazione dello studente, perché altrimenti le università si trasformano in diplomifici la cui unica funzione è il lasciapassare a un requisito d’ammissione di un concorso. Non importa se poi sarai all’altezza del tuo ruolo, basta solo che lo sei sulla carta.

Scrivere non è semplice, ma l’università dovrebbe formarti anche a questo, perché da una buona scrittura dipende il grado di manipolazione del reale, e quindi la competenza intesa come mettere mano a un problema e saperlo risolvere.
Bene allora ha fatto Micciché a sollevare questo, di problema.
Perché nell’epoca di Whatsapp e delle emoticon, non bisogna mai dimenticare quanto sia essenziale per la nostra vita l’arte magica delle parole scritte, capaci di creare sogni a cui la realtà può solo adeguarsi. E quindi trasformare il mondo.

Gianfranco Micciché, Presidente dell’Ars

Scrivere è necessario, ma saper scrivere è più importante: è ciò che segna la differenza fra una laurea e un laureato.

Magari le università si renderanno conto che uno studente in più non è necessariamente più importante di uno studente bravo, ma che entrambi devono sentirsi cambiati dopo il percorso di laurea, capaci di competere con gli altri e con sé stessi per il miglioramento della propria qualità, umana e professionale. E, magari, anche chi bandisce i concorsi dovrebbe forse evitare di cadere nel tranello che solo alcuni corsi di laurea danno la facoltà di selezionare i predestinati migliori.

In fondo, basta affidarsi all’incerta sicurezza della varietà. Perché se accogliere è giusto, premiare senza merito è iniquo.
La competenza si inizia a scrivere così, e di sicuro non viene bocciata.

Sogni in saldo

Una ragazza italiana di 18 anni ha messo all’asta la propria verginita’ su un sito di escort inglese.
Finora, l’offerta piu’alta recapitata e’ pari a 1 milione di euro.
Il motivo della scelta di Nicole (il nome fittizio che si e’ data per mantenere l’anonimato) e’ quello di ottenere la somma necessaria per realizzare il suo sogno, e cioe’ poter studiare all’Universita’ di Cambdrige, oltre ad aiutare economicamente la sua famiglia e comprare una casa ai genitori.
In molti hanno gia’ attaccato la giovane, accusandola di s-vendere il suo corpo e di realizzare una forma di prostituzione velata da nobili scopi.
10 anni fa, anche Raffaella Fico aveva deciso di fare la stessa scelta, per “comprare una casa a Roma e pagare un corso di recitazione”, e anche quella volta si alzo’ un polverone mediatico, specialmente a seguito della sua notorieta’.
A prescindere dalle motivazioni che spingono a prendere questo tipo di decisioni, fatto sta che ci sono ragazzi e ragazze che, pur di raggiungere il proprio obiettivo nella vita, sono disposti a fare qualunque tipo di sacrificio.
E non esiste una scala gerarchica che indichi cosa e’ meglio/peggio fare: perche’ lavorare 16 ore al giorno dovrebbe essere piu’ degno di vendere la propria verginita’? O perche’ dovrebbe esserlo venire pagati al di sotto di ogni soglia ragionevole, dopo aver speso ore dietro un articolo o una consegna?
La storia si puo’ leggere continuamente da piu’ parti. Ma noi scegliamo sempre quella della (finta) morale, come conduzione dei nostri giudizi.
Certo, ci sono valori da preservare, ma spetta a una scelta personale decidere a cosa si e’ capaci di rinunciare. Conseguenze annesse.
Non e’ triste chi ha ambizioni elevate ed e’ disposto a fare sacrifici pur di realizzarle. O comunque non e’ piu’ triste di vedere un sogno infrangersi, o un giovane spento nei desideri.
Invece di scaraventare giudizi, proviamo a rovesciare le condizioni che portano a piegarsi (in tutti i sensi) pur di diventare qualcuno o qualsiasi cosa.
Sarebbe l’offerta migliore da fare ai sognatori. Tutti.

PS: la stessa ragazza ha ammesso, qualche giorno dopo, che si e’ trattato solo di una provocazione, che e’ figlia unica e che non ha alcuna intenzione di intraprendere studi economici. Ora non sa come uscirne. Forse sarebbe stato meglio non entrarci nemmeno.

Chiedo scusa anche io per avere, seppure inconsapevolmente, cavalcato una falsa notizia.