Spoiler, no grazie

Dedicato a tutti quelli che hanno la visto la Casa di Carta.
E hanno spoilerato.

In tanti si sono divertiti in questi giorni pubblicando storie e fotografie con i nomi di alcuni personaggi della Casa di Carta.
Perché? Semplice: per anticipare, (in gergo, spoilerare) a chi non l’avesse ancora vista tutta, i personaggi che sarebbero morti nella 4° stagione della serie.

Ma qual è il motivo?

Innanzitutto, la Casa di Carta non è un gioco di sopravvivenza, dove conta chi resta vivo.
Il suo successo lo si deve a un mix di adrenalina, incertezza, suspense continua, passione.
Traduco: se mi dici chi muore, non mi hai rovinato proprio niente.

Chi si affretta a guardare una serie tv tutta d’un fiato, per poi essere il/la primo/a a scrivere sui social come va a finire, rovinando la sorpresa a chi ancora se la sta gustando lentamente, non si rende conto di due cose, molto ma molto importanti.

La prima.
La corsa a finire una serie tv in poche ore rovina il gusto della continuità.
Nell’epoca del consumismo, in cui si vuole tutto e subito, questo dimostra una mancanza di desiderio, per cui tutto rimane uguale a sé stesso. Finito un prodotto, una serie tv, un libro, se ne cerca subito un altro per cercare di colmare il vuoto di senso rappresentato dalla riflessione.
Detto in altre parole: se il tuo obiettivo è finire la Casa di Carta prima di me così me la spoileri, il risultato è che tu l’hai vista in maniera strumentale, con lo scopo di rovinarmi la visione; io la vedo solo perché mi piace vederla. Penso abbia più senso. Di conseguenza, ti sei fatto un torto da solo.

Il godimento va prolungato, non abortito.

Andiamo alla seconda, che possiamo includere nello “spoilerare per non essere spoilerati“.
Il vezzo di chi spoilera si può nascondere in alcuni motivi diversi fra loro: può essere un trauma precedente (qualcuno che ti ha rovinato una serie e tu ti vendichi); può essere paura che qualcuno ti anticipi il finale, quindi una volta al sicuro ti senti libero di scriverne senza timore di rivelazioni altrui; oppure ancora, semplicemente stupidità (l’opzione da me preferita).
Mi spiego: tu credi che, solo perché mi hai detto chi muore, io non la guardo? Credi che sapere quale personaggio della banda viene ucciso mi potrebbe far desistere dal provare l’emozione di vedere io stesso il suo omicidio?

Se pensi che basti scrivere un nome per rovinarmi una serie tv, allora dovresti anche raccontarmi come succede, perché si arriva a questo, come mai proprio quel personaggio muore e non un altro, cosa è successo prima, cosa succederà dopo; dovresti farmi provare la stessa adrenalina come se la stessi vedendo in tv, dovresti creare quella suspense su cui si fonda il successo della serie.
Insomma, per rovinarmi davvero il finale, dovresti farmi vedere proprio quell’episodio per intero. E quindi il tuo spoiler diventa inutile, non serve a nulla, se non a dimostrare quanto l’illusione di farmi un torto.

Io credo che abbiano inventato le Instagram stories o i tweet per motivi ben diversi che per spoilerare le serie tv.
Ma, come sempre, l’uomo riesce a dimostrare un uso alternativo e violento in ogni cosa.
Perché, di fondo, e anche se non ci riesci, il tuo unico fine di spoilerarmi una serie tv è per fare un danno a me e per divertirti tu.

Un po’ la logica del circo.

E’ solo che, non rovinandomi nulla, l’unico risultato che ottieni è quello di esserti sprecato l’occasione di guardarti una serie tv per te stesso, invece che per me.

Questa è la vera figata.
Ma anche la realtà è on demand: solo per chi vuole vederla.

S I E O. Chi lo capisce non spoilera…

Polso salva vita

Il titolo di questo articolo potrebbe far pensare che la Beghelli abbia deciso di organizzare una gara di solidarietà fra parti del corpo umano (se intendiamo per vita quella compresa tra fianchi e torace).

E, in un certo senso, è così.
Il salva-gente altro non è che un appiglio alla vita (sempre quella corporea) a cui ci si aggrappa per mezzo dei polsi.

Ma, volendo essere meno filosofici e più concreti, questa storia racconta di un uomo a cui davvero il suo polso ha salvato la vita (quella intera, non solo una parte).

Bob Burdett è un signore di mezza età a cui piace pedalare.
Non solo, a quanto pare è anche uno abbastanza appassionato di tecnologia, tanto da portare sempre con sé uno smartwatch durante le sue passeggiate in bicicletta.

Succede che mentre pedalava nel Riverside State Park (Stati Uniti), cade improvvisamente a terra. Nessuno se ne accorge, o almeno, nessuno che abbia gli occhi se ne accorge.

L’unico a capire cosa stesse succedendo è l’orologio che Bob portava al polso: non un orologio qualunque però, ma uno di quelli in grado di pensare e di agire. Un orologio smart insomma.

Il piccolo aggeggio, da solo, chiama il figlio di Bob, e nel frattempo contatta anche il 911 (numero d’emergenza americano) per mandare un’ambulanza sul luogo. Ah, perché l’orologio è in grado anche di capire dove si trova, e mandare la sua posizione agli altri.

Così è stato spiegato come un polso può salvare una vita. Ma, di fondo, c’è molto di più.

Alcuni giorni fa ho posto una domanda sul mio profilo Instagram, in cui mostravo delle foto scattate per un esperimento.
Le foto le trovate qui (https://bit.ly/2kxdQOM): ritraggono delle persone intente a stare sui loro telefoni invece di dialogare fra loro, solo che i telefoni sono stati rimossi per dare un’immagine d’impatto della questione.

Ho chiesto se quelle foto ci facessero sembrare degli stupidi, oppure se fossero il segno di una nuova specie umana.
Ahimè, la risposta che ha prevalso alla fine è stata la prima.

Certo, passare il giorno chini sul telefono non ci fa essere degni dell’etichetta di homo sapiens. Ma il problema secondo me non è la tecnologia, quanto il motivo per cui passiamo ore e ore sul telefono.

Nel caso di Bob, per esempio, la tecnologia non ci fa passare per stupidi.
Come, di sicuro, la tempestività di un tweet o di un messaggio su WhatsApp è riuscita a risolvere alcune emergenze.

Il problema, come sempre, sta nell’approccio: se tu passi ore su Instagram a bruciarti gli occhi per guardare le storie di tutti, e credi che ricaricare la home sia l’unico obiettivo della tua giornata, beh probabilmente in quel caso sì, sei uno stupido demente.

Ma non puoi per questo affermare che tenere in mano un telefono e guardarlo per ore sia da scemi.

Facciamo un passo indietro.

Ciò che oggi è il telefono, un tempo era la penna.
C’era chi scriveva lettere d’amore, chi scriveva La Divina Commedia, e chi utilizzava carta e penna per inviare minacce di estorsione.

Possiamo per questo dire che Dante era uno stupido demente?

Non credo che questa sia la soluzione, come non lo è tornare ai telefoni privi di connessione (quanto vi manca il 3310, vero?).

La questione, però, diventa anche peggiore nel momento in cui, se tu ti comporti da stupido, cerchi di incolpare la tecnologia per uscirne fuori da innocente. La solita assunzione di responsabilità di chi, non solo commette degli errori, ma incolpa gli altri delle conseguenze.

Il punto di confine sta nella consapevolezza: se sai quello che stai facendo, e perché, allora ogni mezzo ti può essere utile.
Altrimenti è tutta una questione di scuse, scorciatoie, deleghe di colpa.

Capirlo, insegnerebbe a tenere il telefono in un altro modo. In mano, per esempio, e non con la mano.
Fa differenza.

Ecco come la tecnologia può renderci stupidi. O migliori.

Il gusto dell’ombrello

Le Ombrelline, le storiche ragazze sulla griglia di partenza prima dei Gran Premi di Formula Uno, perderanno il loro posto di lavoro a partire dalla prossima stagione.
Gli organizzatori della gara, infatti, hanno ritenuto che “queste abitudini sono in risonanza con i nostri valori e in contrasto con le norme della societa’ d’oggi”.
In effetti, avete mai visto ragazze in minigonna con un ombrello in mano, oppure intente a farsi riprendere davanti a una telecamera sorridendo allegramente?
Saranno pazzi questi di Striscia la notizia a mostrare in prima serata due giovani ballerine durante gli stacchetti, allora. La verita’ e’ che, invece di coprirsi di un velo di ipocrisia, a volte e’ meglio scoprirsi in sincerita’ e non perdere di vista chi si ha di fronte.
Il pubblico non e’ un asettico ricettore di parole, ma un soggetto dotato di giudizio. Non sempre magari, ma a volte sì.
E’ per questo che nessuno si aspettera’ pubblicita’ di gioielli con testimonial Belen in dolcevita, ne’ star di Instagram col piumino sulla spiaggia. Neanche in inverno. Perche’ la societa’ di oggi e’ in contrasto con la moderazione e va a braccetto con l’apparenza.
Sarebbe stato piu’ onesto giustificare la decisione di togliere gli ombrelli, con annesse addette, motivandola con la paura che qualcuno potesse molestarle alla velocita’ di un pit-stop.
Perche’, di questi tempi, e’ questa la societa’ con cui presumibilmente si voleva essere in contrasto. Ma, per fortuna, questa e’ solo una piccola parte, da non confondere con il tutto.
Nascondersi dietro un manico di legno puo’ rivelarsi una finta copertura. Specie se non piove. Specie se non c’e’ nessuno che lo tiene.
Potrebbe anche essere interpretato come un nuvolone pronto a scoppiare. E in quel caso non c’e’ ombrello che ripari abbastanza.