Provaci. Per davvero.

Se hai 13 anni, non pensi ai problemi della vita. O meglio: non pensi ai problemi della vita nel modo in cui ci pensano gli adulti.

Questo significa che sei abbastanza grande da non considerare più la privazione di un giocattolo come l’inizio di ogni infelicità, ma anche abbastanza piccolo per reagire, con il giusto peso, a quello che ti capita.

E’ un po’ come la fine del primo amore: tutti abbiamo vissuto quel momento in cui il mondo sembrava crollarci letteralmente addosso, con solo le nostre piccole spalle a sostenerne il peso. Non c’è più un senso, né una ragione per alzarsi dal letto e aprire le finestre.

Ecco, questo è quello che è successo a Harry Storey, un ragazzino di 13 anni del Regno Unito.

Prima cotta, prima delusione.

A quell’età non pensi che fallire sia un’opzione possibile, che la vita possa essere fatta anche di insuccessi. E, il primo impatto, è sempre una bella botta.

Succede quindi che la ragazza per cui Harry perde la testa esce con un altro. E lui, perdendola veramente la testa, decide di farla finita.
Si toglie la vita, eliminando alla radice ogni problema.

E’ una tragedia, già. Ma ci fa capire tanto di più.

Ci fa capire, per esempio, quanto l’essere umano sia allergico al dolore, al punto da preferire il taglio netto a una cura lenta e graduale.
Ci fa capire come l’impazienza sia il segno dei tempi, dove regna l’imperativo del tutto e subito.
E ci fa capire anche quanto contano i sogni nella vita.

Probabilmente un adulto vede un fallimento come una delle possibili soluzioni di un problema: può andare bene o benissimo, oppure male o malissimo.
I bambini invece, per fortuna, guardano ancora con gli occhi della pienezza, dove un risultato mancato combacia con una possibilità in meno, con una realtà che non si realizza e che non lo farà mai più.

Vero, in amore capita spesso di rifiutare o di venire rifiutati.
Ma questo non giustifica il fatto di accontentarsi di una delle possibili soluzioni. Perché la conseguenza di questo atteggiamento sono le coppie che stanno insieme per non fingere solitudine e la mancanza di un rapporto nel rapporto di coppia.

Chi vorrebbe questo? Nessuno. E allora perché il mondo è pieno di coppie così?
Una risposta può essere la mancanza di determinazione, di fiducia, di speranza.
Arrendersi al primo colpo, senza dimostrare quanto ci tieni.

Il piccolo Harry non ha ottenuto ciò che voleva con quel gesto, ma almeno si è ribellato, non ha accettato l’infelicità.
E il suo, di certo, è un gesto sbagliato, ma non ha meno colpe chi gira lo sguardo dall’altro lato, tanto “una vale l’altra”.

No.

Uno vale sé stesso.

E se tu non lotti per diventarlo, né per ottenerlo da qualcun altro, replicherai la catena di negatività che porta alla dissoluzione della coppia, con le conseguenze corna-botte-indifferenza.

Due cose bisogna tenere bene a mente però:
1) se hai intenzione di arrenderti al primo fallimento, non provarci nemmeno;
2) devi capire quando arriva il momento di rinunciare. Perché non puoi ottenere tutto ciò che vuoi.

Resistere potrebbe far nascere una grande storia d’amore.
Ma resistere troppo, potrebbe trasformarsi in reato.

Quindi bisogna farsi guidare dal cuore dell’intelligenza, o dall’intelligenza del cuore.

In entrambi i casi, però, l’unica certezza è l’amore che devi mettere alla base.
Poi passa tutto, gioie e dolori: basta saperli vedere con gli occhi giusti.
Ma, di fondo, devi amare, devi addomesticarti all’idea di praticare l’amore in ogni sua forma.

Allora non si perde.
Si vince.
Sempre.

Il tempo di una notte infinita

Se siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, allora è giusto dedurne che la nostra migliore fibra esistenziale è composta perlopiù da colpevoli speranze, e perlomeno da desideri irrealizzabili.

Nei sogni esprimiamo la nostra creatività maggiore, e quanto più ci teniamo, tanto più quel desiderio ripetuto ogni notte si allontana dall’avverarsi.
In quel caso, infatti, non avremmo più bisogno di sognarlo, ma soltanto di viverlo quotidianamente, nella vita reale e non in quella fantastica(ta) al chiaro di luna.

C’è un’espressione, molto semplice, che rende l’idea di quanto appena detto: una volta compiuta l’impresa insperata, quando la smania notturna diventa finalmente realtà, «sogniamo a occhi aperti».
Non smettiamo quindi di rivestire di una qualche potenzialità infinita quello che abbiamo ottenuto, ma questa volta lo facciamo aprendo gli occhi, prendendo con-tatto con la vita reale e provando a calare nella normalità quello che fino a qualche luna prima era solo un dolce, e traumatico, risveglio.

Impresa facile? Non proprio.

Tutto ciò che immaginiamo, infatti, assume esattamente la forma dei nostri desideri: una ragazza piena di difetti, nei viaggi notturni, può trasformare quelle sue mancanze in punti di forza; il “lavoro dei sogni” può non costare fatica se dura il tempo di qualche sbadiglio; perfino la caponata può diventare dietetica di notte.
E’ per questo che gli artisti, a qualsiasi categoria essi appartengano, preferiscono l’oscurità delle ore piccole per esprimere al meglio il loro talento: in tre parole, è più geniale.

L’unico inghippo è mantenere le promesse allo spuntar del sole.

E qui viene il bello della storia.

Se infatti sognare di notte è piuttosto semplice (istruzioni per l’uso: pensa intensamente a una cosa o persona, moltiplica per 100 i suoi pregi, disegna tutti i futuri possibili in cui andrà bene, e poi vai a letto), farlo di giorno è un po’ più complicato, ma di sicuro non ti deluderà (ti spiego il perché qualche riga più in basso).

Lettore, fermati un attimo e fatti questa domanda: «qual è quella volta in cui mi sono sentito più felice, quella in cui ho creduto di tenere il mondo in mano, quella volta che ho pensato che la vita è così bella che non me ne frega un cazzo dei minuscoli problemi che possono capitare, e improvvisamente mi sentivo il più figo del mondo?».

Alcuni penseranno a quando hanno preso in mano il loro bambino appena nato, qualche chilo di miracolo e poco più; altri a quando hanno fatto l’amore per la prima volta, con quelle lacrime così belle durante la strada di ritorno a casa da uscir fuori anche dai pori del braccio; altri ancora penseranno a quando, lasciandosi alle spalle quella brutta esperienza, hanno finalmente ricominciato, non daccapo a ciclo continuo, ma da quel momento esatto in poi, senza più ripetere gli errori commessi.

Nessuno di noi penserà a un sogno come il momento più felice della propria vita, neanche se in quelle ore eri bella come Emily Ratajkowski o avevi il conto in banca di Ronaldo.

Per meravigliarci di qualcosa dobbiamo viverlo, poterlo toccare con le mani e mordere con tutta la forza che abbiamo, altrimenti diventa come il profumo che tieni nell’armadietto del bagno: ti sta bene addosso, ma molto presto ne svanisce l’effetto.

Mantenere una promessa al mattino, anche piccola, è meglio di un “ti amo” detto per caso, o per sbronza, nel pernottamento dalla realtà.
Avrà pure un sapore afrodisiaco, ma non ci puoi costruire una capanna.

E’ per questo che sognare di giorno, come ho scritto prima, non delude, perché ha in sé tutto ciò che serve per diventare possibile.

La realtà non delude. La realtà si costruisce.
E pazienza se per farla diventare come desideri dovrai lottare contro ogni probabilità a tuo sfavore, ma la felicità si vende a prezzo di fatica.
Basta non aver paura di andare avanti, di cambiare quella cosa in cui ti trovi bene ma che non è ancora tutto ciò che puoi essere, basta insomma non accontentarsi, perché anche se le cose belle non sono difficili, questo non vuol dire che non bisogni lottare per ottenerle: chi si accontenta si sottovaluta, e invece dovrebbe lasciarsi travolgere da ciò che gli capita anche se stava cercando altro (serendipity) per essere realmente felice (altrimenti tradisce prima di tutto sé stesso, oltre che l’altro/a, perché basta anche solo quel pensiero o quel gesto che vorresti compiere, ma non fai, a rompere un meccanismo già andato).

E la spinta per farlo, paradossalmente, ci viene proprio da quei desideri notturni che da soli possono non significare nulla, ma in realtà sono il motore delle nostre azioni concrete: la vera forza sta nel trasformare quel messaggio inviato con un po’ di tremore sotto le lenzuola, nella scelta da fare domani mattina.

Solo così capirai che c’è molto di più, se scegli di rischiare per provarci: «se sognare un po’ è pericoloso, il rimedio non è sognare di meno ma sognare di più, sognare tutto il tempo», diceva Marcel Proust.

Amare qualcuno, in fondo, è già un’impresa insperata di per sé, un rischio pericolosissimo: ma veramente vogliamo stare con qualcuno che ha tutti quei difetti, quel carattere impossibile e quella tendenza continua ad annientarci? Vista così, la risposta è ovviamente no. Ma il trucco sta nel condividere. Nel pensare che anche quella cosa schifosa di lui/lei, in realtà è unicamente nostra. E nel credere che qualsiasi cosa che non sia come te l’aspettavi, non deve essere per forza un difetto (il cui significato proprio è mancanza), ma si tratta semplicemente di qualcosa di diverso. E si può stare insieme sia con qualcuno con cui condividi tutto e che ti capisce al volo, sia con qualcuno che ti rapisce al volo e con cui l’unica cosa in comune è la voglia reciproca che continui a essere così, più del massimo, il motivo in più per cui ti svegli felice.
Perché l’amore è una scelta, basta volerlo. E l’unica ricetta possibile è la presa mentale, il generatore di corrente del desiderio, pronto ad accendersi solo con qualcuno che quando parla ti faccia venir voglia di ascoltare.

«Fai bei sogni. Anzi, fateli insieme. Insieme valgono di più» dice il mio amico Gramellini.

La vita è quel posto bellissimo dove smetti di sognare a occhi chiusi e continui a farlo nella vita reale.
Perché sebbene della frase che ho messo all’inizio tutti ricordano solo la prima parte, lui l’aveva scritta così: “Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I).

Buon sogno a tutti, e che duri il più a lungo possibile: il tempo di una notte infinita.

Bacio alla francese

Parigi, la citta’ dell’amore.
E’ quello che deve aver pensato anche Juliana Corrales, una ragazza di 18 anni della California in gita scolastica in Francia. Prima di partire si era ripromessa di “non tornare a casa se non avessi baciato qualcuno sulla Tour Eiffel”.
Detto, fatto.
Proprio in cima alla torre piu’ romantica del mondo, ha incontrato un ragazzo e gli ha chiesto un tenero bacio, raccontandogli della scommessa fatta con le amiche.
Lui ha accettato, e cosi’ Juliana ha coronato il suo desiderio: sarebbe stato il rimpianto piu’ grande della sua vita, aveva detto alle amiche.
Subito dopo i due si presentano, ma presa dalla foga del momento la ragazza dimentica di chiedergli un contatto. E’ cosi’ che la storia fa il giro del web: lei pensa di aver trovato l’amore della sua vita, il vero colpo di fulmine, e chiede aiuto ai social per ritrovare il suo Gavin. Il popolo di Internet raccoglie l’appello e rintraccia il giovane in Texas.
Lieto fine, storia da mille e una chat?
Purtroppo no!
Gavin e’ gia’ fidanzato. Ma Juliana l’ha presa con filosofia: ha ringraziato tutti e ha detto di non disturbarlo ulteriormente. Quello che non si sa e’ come l’abbia presa la sua ragazza: magari lo sta cercando anche lei, ma per altri motivi.
A margine di questa storia viene lecito pensare quanto sia bello l’amore spontaneo, quello che nasce senza troppi problemi, libero e sfacciato, quello che sboccia durante una gita o quello innescato da un incrocio di sguardi in centro: magari dura anche poco, ma di sicuro ha un gusto intenso. E vale la pena rischiare.
Sapete cosa ha fatto la mamma di Gavin? Ha chiesto a Juliana di baciarlo di nuovo, in modo da potergli scattare una foto insieme. Lei si che ha capito come funziona.
Buttatevi: meglio rischiare di prendersi un no secco, che rischiare di lasciarsi sfuggire un si indimenticabile.
Com’era? Parigi val bene una (scom)messa.
Puntate!